Giocare col corpo: la "scandalosa" storia di Twister

Tra accuse di corruzione morale e insulti come "lussuria plastificata" e "sesso in scatola", ha sconvolto l'America e il mondo ma a 60 anni di distanza è ancora un grande classico intramontabile

Carlo Chericoni
22 giugno 2025|3 giorni fa
La famosa sfida tra l'attrice Eva Gabor e il presentatore Johnny Carson che ha reso Twister il gioco più desiderato del 1966 - © Libertà/Carlo Chericoni
La famosa sfida tra l'attrice Eva Gabor e il presentatore Johnny Carson che ha reso Twister il gioco più desiderato del 1966 - © Libertà/Carlo Chericoni
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Tutto comincia nel 1965, quando il giovane Reyn Guyer scopre di soffrire di una fastidiosa aerofobia: ogni volta che doveva volare per incontrare nuovi clienti l’ansia lo paralizzava. Curiosamente, se viaggiava per piacere, quel disagio scompariva. Era chiaro che il problema non era l’aereo: era il lavoro.
La sua occupazione? Ideare espositori da negozio capaci di catturare l’attenzione dei clienti. Operava nell’azienda fondata da suo padre, la Reynolds Guyer Agency of Design, di cui era anche co-proprietario. Si trattava di un’attività creativa e dinamica, che lo metteva in contatto con grandi marchi come Kraft e 3M, ma proprio il fatto di dover mettere costantemente il suo ingegno al servizio del successo altrui stava minando, giorno dopo giorno, il morale di Reyn.
La svolta avvenne quando si mise al lavoro sulla promozione di un lucido da scarpe e pensò: «Gli acquirenti potrebbero spedire un dollaro e un lembo della confezione per ricevere un gio-co da fare in salotto...». Immaginò così un tappeto con delle caselle dove i consumatori, con le loro scarpe lucide, sarebbero stati le pedine in gara per arrivare primi al traguardo.
Anche se le regole erano ancora solo abbozzate, i test fatti in ufficio si rivelarono un successo: colleghi di ogni età e sesso si divertivano come bambini a spostarsi sul prototipo del grosso tabellone di cartone che aveva costruito. Fu allora che Reyn capì il reale potenziale di quell’idea e decise che meritava di essere commercializzata nei negozi come un prodotto a sé e non “sprecata” come una semplice trovata promozionale per un lucido da scarpe.
Decise così di sviluppare lo spunto iniziale, costruendo un nuovo tappeto con una griglia 5x5 su cui due squadre, una con cavigliere rosse e l’altra blu, si sfidavano cercando di allineare i propri colori.
Sfruttando i suoi contatti in 3M, azienda che negli anni ‘60 produceva anche giochi da tavolo, Reyn propose il suo progetto intitolandolo King’s Footsie. L’idea era troppo fuori dagli schemi per quel marchio e venne rifiutata. Fu un duro colpo, ma anche una lezione: per portare avanti quel gioco serviva una squadra e un piano di sviluppo più solido.
Con l’approvazione del padre, che nel frattempo aveva intuito il potenziale del progetto, Reyn assunse Chuck Foley, stimato creatore di giocattoli presso la Lakeside Industries, e Neil Ra-bens, affermato designer laureato alla Minneapolis School of Art and Design, con l’obiettivo di far entrare l’azienda di famiglia nel mondo dei giochi da tavolo.
Il trio, molto affiatato, iniziò a sviluppare diversi progetti, tra cui anche un’evoluzione di King’s Footsie. Fu grazie ai suggerimenti di Chuck che prese forma il celebre tappeto con quattro colonne formate da cerchi colorati; e fu sempre sua l’intuizione di far usare ai partecipanti anche le mani: due trovate geniali che portarono alla nascita di Pretzel, il gioco che ti fa attorcigliare.
Tra gli otto prototipi che il gruppo sottopose alla Milton Bradley, storica casa editrice di board games, fu proprio Pretzel a colpire Mel Taft, vicepresidente del reparto ricerca e sviluppo. Tuttavia, altri dirigenti erano contrari: lo ritenevano socialmente inaccettabile, perché costringeva persone di sesso opposto a stare troppo vicine.
Per togliersi ogni dubbio, Mel portò un prototipo a casa per provarlo personalmente. «C’erano altre tre coppie con noi», raccontò più tardi, «e dopo pochi minuti ridevamo così forte che ho quasi avuto un attacco di appendicite. Capì che quel gioco valeva oro. Se faceva divertire così tanto degli adulti, dovevamo assolutamente proporlo al pubblico».
Convinto della sua scelta, Mel diede il via libera alla pubblicazione, ma c’era ancora un osta-colo: un altro produttore aveva già messo in commercio un cagnolino di peluche chiamato Pretzel. Così che il gioco cambiò nome e nacque ufficialmente Twister.
Quando il team vendite della Milton Bradley lo presentò ai grandi rivenditori, la risposta fu glaciale. Il rappresentante di Sears, la nota catena di negozi statunitensi, si rifiutò di includerlo nel catalogo: lo definì «troppo audace», un giudizio che equivaleva a una condanna a morte per Twister. O forse no.
Grazie all’intervento dell’agenzia di PR della Milton Bradley, il 3 maggio 1966 il gioco fece il suo debutto nel Tonight Show, il celebre programma di seconda serata condotto da Johnny Carson, dove lui e la sensuale attrice Eva Gabor si trovarono impegnati in una sfida a Twister. Il pubblico adorò lo spettacolo e si riversò nei negozi per comprare quella nuova mania; il successo fu così travolgente che anche Sears dovette cambiare idea.
Ovviamente questo non spense le polemiche: predicatori conservatori accusavano il gioco di corrompere i costumi, alcuni giornali di provincia titolavano indignati sulla “lussuria plastificata dei giovani americani”, mentre i produttori rivali lo definivano “sesso in scatola” nella speranza di scoraggiarne la diffusione; ma come ricordano spesso gli esperti di comunicazione, “non esiste la cattiva pubblicità”, e infatti, il clamore contribuì ad accendere la curiosità del pubblico. Nel Natale del 1966, Twister divenne l’oggetto del desiderio sotto l’albero, e nel 1967 aveva già venduto oltre tre milioni di copie. Da allora, il gioco che infrange le regole sociali non ha mai conosciuto veri rallentamenti.
Col passare dei decenni, Twister ha attraversato numerose evoluzioni e varianti, ma a sessant’anni dal suo “concepimento” resta un test di agilità capace di coinvolgere l’intera famiglia, oltre a un’icona pop citata in film, serie tv e concerti rock. Da semplice trovata pubblicitaria per promuovere un lucido da scarpe, è diventato un sorprendente specchio dell’evoluzione dei costumi, passando dall’essere un passatempo trasgressivo per adulti a un innocuo gioco di società principalmente per bambini.
L’impatto culturale di Twister va ben oltre il tappeto colorato e le pose acrobatiche. È stato uno dei primi giochi a infrangere la barriera del contatto fisico in un’epoca ancora imprigionata da forti convenzioni sociali, trasformando il gioco in uno spazio dove il corpo poteva essere libero, buffo e vicino agli altri senza imbarazzo. Ha stimolato riflessioni sul concetto di intimità, sul ruolo del corpo nella società e sul modo in cui giochiamo insieme. E forse è proprio questo il segreto della sua longevità: ancora oggi, in un mondo dominato dal digitale, Twister riesce a farci ridere, cadere, e ricordare quanto sia bello divertirsi stando vicini.