Cosa resta di "The Last of Us" nella seconda stagione televisiva
Lunedì scorso si è conclusa la serie tratta dall'omonimo videogioco e non è andata molto bene
Fabrizia Malgieri
31 maggio 2025|25 giorni fa

Cinque minuti. Sono bastati appena cinque minuti, nell’incipit del primo episodio, per polverizzare l’intero scopo di “The Last of Us: Parte 2”. Una giovane donna osserva il vuoto, quello della sua anima; parla di uccidere un certo Joel per vendicare la morte di suo padre. Quel “bastardo” non merita di vivere, no: è la causa di un dolore troppo grande da contenere in quel corpicino esile da giovane adolescente. Un corpo che, almeno nel videogioco originale, si plasma e cambia forma, esattamente come la rabbia che monta al suo interno. Irrefrenabile, cieca. Abby Anderson, interpretata da Kaitlyn Dever (“Unbelievable”, “Apple Cider Vinegar”), viene così stigmatizzata in appena cinque minuti dall’inizio della seconda stagione della serie tv “The Last of Us”, impedendo allo spettatore di avviare un processo di scoperta e conoscenza del e con il personaggio, depotenziando completamente il suo ruolo. Un meccanismo – quello del “raccontare di più” per non spaventare o sorprendere troppo lo spettatore – che in questa seconda season dell’attesissima serie tv, tratta dal videogioco “The Last of Us: Parte 2” è un modus operandi ricorrente: non creiamo colpi di scena, prediligiamo una scrittura più lineare e, per certi versi, più aderente all’opera originale. Raccontiamo i fatti di “The Last of Us: Parte 2” senza deviazioni: niente più episodi come “Long, Long Time” che indugiano su personaggi secondari, come avvenuto nella prima stagione; mettiamo insieme – in appena 7 episodi, una sfida clamorosa – tutto quello che accade ad Ellie e Joel (i protagonisti del primo “The Last of Us”, videogioco e serial) in una sequenza di eventi rapidissima, quasi impalpabile, sapendo sin dall’inizio che c’è questa Abby che, prima o poi, ammazzerà Joel.
E non ci vuole molto, in fin dei conti: basta attendere il secondo episodio prima che la giovane donna metta a punto il suo piano di vendetta in compagnia di un gruppo di alleati, intenzionati a vendicare i “fatti” di Salt Lake City. C’è fretta in questa seconda stagione di “The Last of Us”, accompagnata da una scrittura dei personaggi fragile e molto spesso superficiale: la stessa Ellie – che nel secondo capitolo videoludico è la vera protagonista (insieme ad Abby, come si scoprirà più avanti) e qui è nuovamente interpretata da Bella Ramsey – manca totalmente di quel lato oscuro che muove il suo personaggio per tutta la durata del gioco. Pur impegnata strenuamente nel suo viaggio di vendetta contro Abby, che la trascina fino a Seattle – un riferimento alla città è costante all’interno degli episodi, quasi didascalico, attraverso poster e album di Nirvana e Pearl Jam – la sensazione che si ha osservando la Ellie televisiva è quella di una ragazzina impegnata a fare una scampagnata, in compagnia della sua amica e amante Dina. La Ellie del videogioco è mossa dall’istinto, offuscata dalla rabbia e dal dolore per la perdita violenta di Joel: il suo viso è costantemente sporco di fango e sangue, i suoi abiti luridi e consumati. Questo perché il racconto che la vede protagonista nel secondo capitolo è un viaggio verso l’abisso, verso gli inferi più oscuri dell’animo umano: in “The Last of Us: Parte 2” Ellie è una giovane donna che non può più salvarsi, è perduta per sempre. Il ritratto che viene offerto nella sua versione televisiva stride completamente con quello offerto nell’opera originale. La Ellie di Bella Ramsey ride e scherza, sembra quasi non prendere sul serio il suo compito: e questo non perché Ramsey non sia un’interprete all’altezza del ruolo che la vede protagonista, tutt’altro. Il problema è proprio legato al modo in cui il suo personaggio è stato scritto e messo in forma dagli sceneggiatori, al punto da risultare quasi inefficace quando non viene affiancata da Pedro Pascal, interprete di Joel. Un sospetto che diventa certezza quando l’unico episodio che realmente funziona in tutta questa seconda stagione è proprio il sesto, quello dedicato a lunghi flashback che raccontano come si è costruito il rapporto tra Ellie e Joel dopo la fuga da Salt Lake City e il loro arrivo a Jackson, nel Wyoming. Una puntata potente, emozionante, che – anche in questo caso, purtroppo – risente di quella fretta, di quella impazienza di narrare momenti nevralgici e necessari alla comprensione dell’intera vicenda con largo anticipo.
Un’urgenza inspiegabile, che depotenzia totalmente quella che era la forza dell’opera originale.
Se la potenza di “The Last of Us: Parte 2” (gioco) stava letteralmente in un gioco delle parti, in cui Ellie e Abby si scambiano improvvisamente i ruoli, in questa seconda stagione l’incapacità di offrire spessore ed energia ai singoli personaggi – anche quelli secondari – impedisce agli spettatori di entrare in contatto con quelle che sono le loro rispettive dimensioni emotive. Non c’è un istante in cui tirare il fiato, in cui approfondire gli eventi, scoprire le diverse fazioni che animano e rendono complesso l’intero scheletro di “The Last of Us: Parte 2”: la scelta di restare perfettamente in linea con la struttura narrativa del gioco si rivela presto confusa, e inadatta a restituire quello che era il cuore pulsante dell’opera originale. C’era bisogno di tempo: gli spettatori avevano bisogno di tempo per metabolizzare quanto stava accadendo su schermo, episodio dopo episodio. Magari proprio utilizzando quegli episodi filler che avrebbero permesso loro di entrare in profondità nel mondo disumano di “The Last of Us”. Ciò che è mancata in questa seconda stagione della serie tv targata HBO è un’abbondante dose di coraggio, quella che da sempre ha contraddistinto l’emittente televisiva, e un progetto straordinario come il franchise videoludico ideato dai Naughty Dog. Sarà difficile recuperare il pubblico dopo un racconto così sgangherato e disordinato, incapace di preservare quella che era l’anima potente del gioco pubblicato nel 2020. Chissà se il cambio di abito, quando la terza stagione ci metterà finalmente nei panni di Abby, sarà in grado di salvare ciò che resta di “The Last of Us”. Perché, al momento, ciò che gli spettatori hanno tra le mani sono solo spore. Spore di Cordyceps che difficilmente permetteranno alla serie tv di restare immune da critiche feroci.
E non ci vuole molto, in fin dei conti: basta attendere il secondo episodio prima che la giovane donna metta a punto il suo piano di vendetta in compagnia di un gruppo di alleati, intenzionati a vendicare i “fatti” di Salt Lake City. C’è fretta in questa seconda stagione di “The Last of Us”, accompagnata da una scrittura dei personaggi fragile e molto spesso superficiale: la stessa Ellie – che nel secondo capitolo videoludico è la vera protagonista (insieme ad Abby, come si scoprirà più avanti) e qui è nuovamente interpretata da Bella Ramsey – manca totalmente di quel lato oscuro che muove il suo personaggio per tutta la durata del gioco. Pur impegnata strenuamente nel suo viaggio di vendetta contro Abby, che la trascina fino a Seattle – un riferimento alla città è costante all’interno degli episodi, quasi didascalico, attraverso poster e album di Nirvana e Pearl Jam – la sensazione che si ha osservando la Ellie televisiva è quella di una ragazzina impegnata a fare una scampagnata, in compagnia della sua amica e amante Dina. La Ellie del videogioco è mossa dall’istinto, offuscata dalla rabbia e dal dolore per la perdita violenta di Joel: il suo viso è costantemente sporco di fango e sangue, i suoi abiti luridi e consumati. Questo perché il racconto che la vede protagonista nel secondo capitolo è un viaggio verso l’abisso, verso gli inferi più oscuri dell’animo umano: in “The Last of Us: Parte 2” Ellie è una giovane donna che non può più salvarsi, è perduta per sempre. Il ritratto che viene offerto nella sua versione televisiva stride completamente con quello offerto nell’opera originale. La Ellie di Bella Ramsey ride e scherza, sembra quasi non prendere sul serio il suo compito: e questo non perché Ramsey non sia un’interprete all’altezza del ruolo che la vede protagonista, tutt’altro. Il problema è proprio legato al modo in cui il suo personaggio è stato scritto e messo in forma dagli sceneggiatori, al punto da risultare quasi inefficace quando non viene affiancata da Pedro Pascal, interprete di Joel. Un sospetto che diventa certezza quando l’unico episodio che realmente funziona in tutta questa seconda stagione è proprio il sesto, quello dedicato a lunghi flashback che raccontano come si è costruito il rapporto tra Ellie e Joel dopo la fuga da Salt Lake City e il loro arrivo a Jackson, nel Wyoming. Una puntata potente, emozionante, che – anche in questo caso, purtroppo – risente di quella fretta, di quella impazienza di narrare momenti nevralgici e necessari alla comprensione dell’intera vicenda con largo anticipo.
Un’urgenza inspiegabile, che depotenzia totalmente quella che era la forza dell’opera originale.
Se la potenza di “The Last of Us: Parte 2” (gioco) stava letteralmente in un gioco delle parti, in cui Ellie e Abby si scambiano improvvisamente i ruoli, in questa seconda stagione l’incapacità di offrire spessore ed energia ai singoli personaggi – anche quelli secondari – impedisce agli spettatori di entrare in contatto con quelle che sono le loro rispettive dimensioni emotive. Non c’è un istante in cui tirare il fiato, in cui approfondire gli eventi, scoprire le diverse fazioni che animano e rendono complesso l’intero scheletro di “The Last of Us: Parte 2”: la scelta di restare perfettamente in linea con la struttura narrativa del gioco si rivela presto confusa, e inadatta a restituire quello che era il cuore pulsante dell’opera originale. C’era bisogno di tempo: gli spettatori avevano bisogno di tempo per metabolizzare quanto stava accadendo su schermo, episodio dopo episodio. Magari proprio utilizzando quegli episodi filler che avrebbero permesso loro di entrare in profondità nel mondo disumano di “The Last of Us”. Ciò che è mancata in questa seconda stagione della serie tv targata HBO è un’abbondante dose di coraggio, quella che da sempre ha contraddistinto l’emittente televisiva, e un progetto straordinario come il franchise videoludico ideato dai Naughty Dog. Sarà difficile recuperare il pubblico dopo un racconto così sgangherato e disordinato, incapace di preservare quella che era l’anima potente del gioco pubblicato nel 2020. Chissà se il cambio di abito, quando la terza stagione ci metterà finalmente nei panni di Abby, sarà in grado di salvare ciò che resta di “The Last of Us”. Perché, al momento, ciò che gli spettatori hanno tra le mani sono solo spore. Spore di Cordyceps che difficilmente permetteranno alla serie tv di restare immune da critiche feroci.