Governance dell’Ia, indispensabile cooperare

In quest’inizio di settimana si è parlato molto del vertice di Parigi, dedicato all’intelligenza artificiale: lo hanno organizzato i governi di Francia e India e ha riunito decine di capi di Stato

Ilaria Solaini
|9 mesi fa
Governance dell’Ia, indispensabile cooperare
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Prima di iniziare quest’avventura con “Vite digitali”, un ringraziamento speciale al collega Gigio Rancilio per tutti i consigli che ha condiviso con noi in redazione, ma soprattutto con i nostri lettori su questa rubrica, sfidandoci a porci le domande giuste sul mondo digitale. In quest’inizio di settimana si è parlato molto del vertice di Parigi, dedicato all’intelligenza artificiale: lo hanno organizzato i governi di Francia e India e ha riunito decine di capi di Stato, Ceo delle grandi Big tech come OpenAI, Google, Meta, Microsoft e Anthropic, ma anche rappresentanti del mondo accademico e delle organizzazioni non profit. I due incontri precedenti – a Bletchley Park, in Inghilterra, e a Seoul, in Corea del Sud – si erano concentrati moltissimo sui rischi posti dall’intelligenza artificiale: quelli ambientali generati dal crescente utilizzo di risorse di calcolo nello sviluppo dell’Ia che ha aumentato anche la quantità di energia, acqua e materie prime consumate, come pure quelli sistemici legati alla privacy e all’impatto sul mercato del lavoro.

Al Grand Palais parigino tutto quest’enorme dibattito, a partire dai dati dell’International AI Safety Report, è stato ignorato. Prima ancora che le due giorni iniziasse molti analisti erano convinti che avrebbe portato a poche azioni concrete. E così è stato: con la mancata firma alla dichiarazione finale da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna è stato piuttosto chiaro come gli sforzi seri di governance nel campo dell’Ia possano facilmente esser fatti saltare dall’egoismo nazionale dei singoli Stati. Secondo il primo ministro britannico Keir Starmer, «la dichiarazione non ha fornito sufficiente chiarezza pratica sulla governance globale, né ha affrontato a sufficienza questioni più difficili sulla sicurezza nazionale». Questa «mancanza di cooperazione internazionale sulle norme e sugli standard dell’Ia aumenta i rischi internazionali» ha aggiunto il capo di Google DeepMind, Demis Hassabis, sottolineando che, pur di ottenere un vantaggio tecnologico nella corsa all’Ia alcuni Paesi potrebbero fare scelte dannose per l’umanità nel suo complesso. Ignorando le parole di papa Francesco che riportano al centro una visione etica quando sostiene «che è solo dal “cuore” dell’uomo che proviene il senso della sua esistenza» (cfr. Blaise Pascal, Pensieri).

Gran Bretagna e Stati Uniti, che non hanno firmato la dichiarazione di Parigi, è come se avessero abbracciato le parole di Sam Altaman, co-founder di OpenAI, società americana che ha prodotto ChatGpt, quando sostiene che «se vogliamo la crescita, l’occupazione e il progresso, dobbiamo permettere agli innovatori di innovare, ai costruttori di costruire e agli sviluppatori di sviluppare». Una prospettiva in contrasto con l’approccio prescrittivo e cauto dell’Unione nella regolamentazione digitale – dal Digital Services Act dell’Ue al GDPR –: da un lato c’è il liberismo americano, gli interessi economici che prevalgono su tutto, dall’altro ci sono le regole e un approccio più rigido, che però rischia di rallentare la spinta all’innovazione digitale in Europa. In mezzo, secondo il tecnologo Hassabis, «c’è bisogno di più tempo speso dagli economisti, dai filosofi e dagli scienziati sociali su come vogliamo che sia il mondo con l’Ia».
Eppure, conversazioni di questo tipo sono state del tutto assenti dal vertice di Parigi: l’incapacità del vertice di garantire una cooperazione internazionale significativa sulla governance dell’Ia ha dimostrato perché ne abbiamo tanto bisogno di una cooperazione internazionale significativa sulla governance dell’Ia. Lasciati a sé stessi, i Paesi tenderanno a dare la priorità agli interessi ristretti rispetto alla sicurezza collettiva e al bene comune.