Silenzio ed emozione di fronte ai 335 martiri delle Fosse Ardeatine
Il rarcconto di Elisabetta Paraboschi in viaggio con l'Anpi di Piacenza che oggi ha toccato Roma e dove è stato reso omaggio alle vittime dei nazisti
Elisabetta Paraboschi
13 giugno 2025|12 giorni fa

Sulla tomba di Orlando Orlandi Postiori, 18 anni, studente, una faccia da bambino cresciuto troppo presto c’è un papavero rosso coi petali in tessuto. Su quella di Renato Villoresi, capitano d’artiglieria ammazzato a 27 anni, qualcuno ha lasciato un foglio su cui sta scritta la poesia di Gianni Rodari “La madre del partigiano”. Sono 336 le tombe in granito davanti a cui si fermano i circa 50 viaggiatori che hanno aderito al viaggio dell’Anpi provinciale di Piacenza: si fermano davanti ad alcune lapidi, osservano le fotografie di questi uomini - tutti uomini dai 14 ai 77 anni - che sono stati giustiziati con un colpo alla nuca il 24 marzo del 1944 e quella - vuota - che ricorda i martiri d’Italia. Siamo alle Fosse Ardeatine, a due passi dall’Appia antica e dalle catacombe di San Callisto: all’ingresso una lapide ricorda le città insignite dalla medaglia d’oro e c’è anche Piacenza. Piera Reboli ricorda quando quella lapide fu inaugurata: era il 1996, un pullman di piacentini - fra cui anche numerosi partigiani - partì all’alba per essere presente alla cerimonia e incontrare poi l’allora presidente della Repubblica Scalfaro.
Nella Roma giubilare di oggi invece il caldo è soffocante e non dà tregua: ci si sente oppressi sotto la luce abbagliante del sole, ci si sente oppressi mentre ci infiliamo nei corridoi di tufo e pozzolana per arrivare al punto in cui 335 civili e militari italiani vennero ammazzati dai tedeschi come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella, compiuto il 23 marzo 1944 da membri dei Gap romani. Al termine dell’eccidio i tedeschi minarono tutto e lo fecero scoppiare con l’obiettivo di seppellire per sempre non solo i corpi, ma anche la memoria della strage. Non sarà così: una lapide riporta ancora il nome di Attilio Ascarelli, il direttore dei lavori di esumazione delle salme che riesce a restituire un’identità e una famiglia a quasi tutti.
Poco dopo il sole batte ancora forte e una parte del gruppo si muove verso il giardino in cui ci sono le catacombe di San Callisto: 17 chilometri di cunicoli che si estendono sottoterra, sotto la via Appia Antica dove dagli anni Venti agli anni Settanta del secolo scorso c’è chi ha pensato di costruire case e ville faraoniche. Ma del resto già nel Settecento si edificò una magnifica casa padronale proprio all’interno del parco della villa dell’imperatore Massenzio, un tempo adornata anche con un obelisco preso dall’attuale piazza Navona e lì riportato nel Seicento.
Era una strada commerciale la via Appia, ma anche necropolare: il grande mausoleo fatto edificare da Crasso Cretico per la figlia morta Cecilia Metella lo dimostra. Ci passiamo davanti, notando anche il castello fortificato che lo ingloba e che è stato edificato alla fine del XIII secolo ad opera della famiglia Caetani, quella di Papa Bonifacio VIII. È adornato con un fregio di festoni floreali alternati ai bucrani, ossia i teschi dei buoi simbolo dell’abbondanza già in età augustea.
Cinquecento metri dopo sulla strada cominciano i basoli, quelle grandi lastre di pietra che ancora in alcuni punti connotano la via Appia: non c’è tempo per vederli, ma per accorgersi di quanto la strada sia stata costruita per seguire una linea dritta sì. Dritta per rendere più facile il cammino, forse anche per rendere più facili i pensieri: a casa ce ne portiamo tanti insieme alle immagini di tutto ciò che abbiamo visto.
E adesso, per l’Anpi, è già ora di pensare al viaggio del prossimo anno.