Vanzina: «Abbiamo fotografato il senso della moda, ma le scene più spinte noi non le volevamo»
“Sotto il vestito niente”, gli anni ’80 e la Milano da bere. «Il produttore girò una sequenza hot e la inserì nel film»
Barbara Belzini
18 giugno 2025|7 giorni fa

Renée Simonsen, protagonista del thriller "Sotto il vestito niente"
In occasione dei 40 anni di “Sotto il vestito niente”, celebre incursione di Carlo e Enrico Vanzina in zona thriller e grande successo di pubblico del 1985, Rustblade Records ha pubblicato un’edizione restaurata in bluray accompagnata, per la prima volta, dalla colonna sonora di Pino Donaggio in vinile e cd, in collaborazione con Bluebelldisc Music.
Diretto da Carlo e sceneggiato insieme al fratello Enrico e a Franco Ferrini, il film si apre nel Wyoming, dove il giovane Bob, guardaparco americano, “sente” che la gemella Jessica, in Italia per lanciarsi in una carriera da modella, è in pericolo. Il ragazzo si precipita a Milano, dove scopre che Jessica è scomparsa: con il supporto della polizia locale, Bob comincia a indagare nel lussuoso e torbido mondo della moda milanese.
Interpretato da cast internazionale, il film rappresentò il debutto sul grande schermo sia della protagonista, la supermodella danese Renée Simonsen, che per una giovanissima Anna Galiena, in un ruolo minore.

Abbiamo avuto l’occasione di rievocare qualche aneddoto sul film con Enrico Vanzina - reduce dal debutto nel ruolo di direttore artistico della prima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Pompei - che in una delle tante occasioni che negli anni lo hanno condotto a Piacenza, nell’autunno 2018 è venuto a presentare proprio questo film allo Spazio Rotative, ospite dei Cinemaniaci in occasione della prima edizione di “Profondo Giallo”.
Questo è il secondo thriller della factory Vanzina, ma cosa pensa del primo, “Mystère” del 1983?
«Mystère era un film “post moderno” ispirato formalmente ad un bellissimo film francese che si chiama “Diva” (di Jean-Jacques Beineix, del 1981, ndr). L’idea di partenza era quella di contaminare Roma con personaggi e dialoghi alla Chandler e di gusto fumettistico. Era un bel film. Rovinato da un brutto finale, voluto dal nostro produttore Goffredo Lombardo che voleva l’happy end. Andammo addirittura a Hong Kong a girarlo. Carole Bouquet, nel film, era magnifica».
Il primo aneddoto incredibile su “Sotto il vestito niente” è che lo doveva girare Antonioni: ci racconta come è andata?
«Il produttore Manzotti aveva affidato il film ad Antonioni che voleva fare un film complesso sulla moda. Un giorno ci chiamò e ci disse: “Questo film lo fate meglio voi”. Restammo basiti, ma era sincero. Fu un’esperienza curiosa. Alla fine il film, anche se era un thriller, rimase comunque una pellicola sul senso della moda».
Il film è una riscrittura del romanzo di Marco Parma: era davvero così inadattabile? Quali sono le grandi differenze che avete introdotto?
«Non lo so. Carlo ed io non abbiamo mai letto quel libro. Sembra incredibile, ma è così . Ci piaceva il titolo. Era molto potente».

Avete poi scritto la sceneggiatura con Franco Ferrini, storico collaboratore di Dario Argento, e avete chiamato per la colonna sonora Pino Donaggio, compositore di De Palma, che viene richiamato anche nel tema del doppio, insieme ovviamente anche a Hitchcock, filtrato o meno da De Palma. Il vostro approccio al cinema di genere è stato immergere il film in un mondo di citazioni?
«Chi fa il cinema ama il cinema. E chi ama il cinema quando affronta un genere non può fare a meno di ripensare ai film precedenti. È come nella pittura. Chi dipinge ricorda la pittura precedente».
Nella nuova edizione extralusso in bluray è stata pubblicata anche la pregevole colonna sonora di Donaggio in cd e vinile (rosso): come è nata/andata questa collaborazione?
«Siccome eravamo pazzi di Brian De Palma ci sembrò naturale chiamarlo. Noi italiani, lui italiano. Era una cosa normale. Fui per noi una grande fortuna. La colonna sonora è pazzesca».
Girato direttamente in inglese, con un cast prevalentemente straniero, era un film pensato per il mercato internazionale?
«Sì, il film nasceva con l’idea di andare all’estero. E infatti ci andò».
Ci racconta come avete coinvolto Donald Pleasence nel ruolo del commissario?
«Era il nostro idolo. Dai tempi de “La grande fuga” ed altri film. Lo chiamammo. Lui disse che prima voleva leggere la sceneggiatura. Lesse e accettò. Il cinema funziona così. Poi siamo diventati amici e tornò a recitare con noi nel film “Miliardi”. Donald è stato un grande attore e un uomo stupendo».
Nel film ci sono molte scene che, viste oggi, si spingono oltre al divieto ai minori di 14 anni: all’epoca è stato un problema?
«Fu Manzotti ad aggiungere le scene spinte. Noi non volevamo. Ma lui ha insistito e una scena la girò addirittura lui. Una vergogna».
Gloria Gaynor, Murray Head, scaldamuscoli, fast food, braccialetti: è un film sugli anni ‘80 dove manca solo la politica, non avete pensato di inserirla in qualche modo?
«La politica l’abbiamo lasciata fuori perché non è mitica. Mai».