Le radici dei "doppi cittadini": il turismo di ritorno vale 5 milioni
Sono 40mila i piacentini emigrati che tornano nelle vallate d'origine. Il fenomeno migratorio in un report dell'Università Cattolica. I riflessi sulla gastronomia
Filippo Lezoli
3 giugno 2025|22 giorni fa

La presentazione del report dell'Università Cattolica © Libertà/Filippo Lezoli
A Piacenza i trasferimenti di residenza all’estero sono in leggero calo e riguardano soprattutto i giovani. Sale invece il turismo di ritorno, o delle radici, di chi torna nei luoghi dei propri avi per conoscere la propria origine. La maggior parte dei turisti di ritorno soggiorna in Valnure (54%), poi in Valdarda (18%) e in Valtrebbia (11%), e oggi vive in Francia, Inghilterra, Germania e Argentina.
È un turismo di cui beneficia anche l’economia, tanto che il gruppo di studi dell’Università Cattolica che l’ha studiato quantifica in quasi 5 milioni di euro all’anno l’introito per le nostre valli realizzato grazie ai turisti di ritorno. I dati emergono dal report “Appartenenze multiple. Il fenomeno migratorio in Emilia-Romagna e il turismo delle radici” redatto dall’ateneo piacentino, a cura di Silvia Magistrali, Davide Marchettini e Paolo Rizzi. Indagine che è stata presentata all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, nell’ambito del convegno dal titolo “Emigrazione e turismo delle radici” organizzato dell’associazione “Piacentini nel mondo” in collaborazione con l’Università Cattolica.
Altri dati raccontano che questi turisti tornano con frequenza, anche tre o quattro volte in un anno (28%) o addirittura cinque o sei (11%), e si fermano nelle nostre valli in media 19 giorni, spendendo, sempre in media, 2mila euro.
Questo particolare fenomeno turistico è costruito sui sentimenti, come emerge dagli interventi moderati da Paola Romanini, vicecaporedattrice di Libertà. Sono storie che raccontano di decenni passati e di vite come quelle di cui parla ad esempio Daniela Morsia, bibliotecaria della Passerini Landi, che ha esposto il progetto “La pasta in valigia”. «È la storia di emigranti che mettevano nella valigia ricettari, conoscenze e ricordi di piatti fatti in casa, trasformandoli poi all’estero in esperienze imprenditoriali, avviando ristoranti, caffetterie e botteghe nei Paesi di destinazione, partendo magari da un apprendistato come cameriere».
Si scopre così che i gelatieri della Valceno hanno portato il gelato a Londra, racconta Morsia, oppure che gli emigrati in Galles aprivano il locale alle 5 di mattina, in concomitanza con il primo turno dei minatori, per preparare loro panini imburrati e con il salume piacentino.

Ma si è parlato anche di cucina delle radici, inquadrando il fenomeno migratorio nel Piacentino attraverso gli aspetti gastronomici e culturali. Lo hanno fatto due classi dell’Istituto alberghiero del campus Raineri Marcora, grazie alla professoressa Barbara Galli. Con il coinvolgimento della quarta e della quinta C Pasticceria si è infatti posto il focus sugli aspetti geografici, turistici ed enogastronomici delle nostre valli. In particolare si è parlato della fusione fra le etnie che danno vita a ricette piacentine rivisitate con le tradizioni del Senegal, cinesi o marocchine.
L’obiettivo del convegno è illustrato da Patrizia Bernelich, presidente di “Piacenza nel mondo”. «La presenza di diverse scuole nasce dalla volontà di diffondere l’associazione anche fra i ragazzi - dice - ritengo infatti che la storia dell’emigrazione piacentina debba essere conosciuta fin da quando si è molto giovani. L’idea, poi, di presentare prodotti tipici piacentini rivisitati dagli studenti a seconda delle nazionalità di provenienza è interessante e nuova. Sono i piacentini di nuova generazione. L’inclusione e la globalità sono principi sui quali si basa la nostra associazione».