«Giro tutto il mondo a caccia di talenti, ma Piacenza è casa»
Gian Paolo Manighetti, ex biancorosso e capo scouting dell'Atalanta, ogni anno per lavoro prende 50 voli e percorre 100mila chilometri in auto
Paolo Gentilotti
22 giugno 2025|3 giorni fa

Una recente foto di Gian Paolo Manighetti
«Il mio lavoro mi piace moltissimo, lo faccio ormai da più di vent’anni e non lo cambierei con nessun altro, anche se faccio quasi centomila chilometri all’anno in macchina e prendo fra i quaranta e i cinquanta voli».
Gian Paolo Manighetti ha consesso a Libertà una delle sue rare interviste. Rare non perché “se la tiri”, ma perché ha sempre preferito il profilo basso, quella concretezza che gli viene dalla razza bergamasca.
E poi, lui è uno di noi: vive a Piacenza consecutivamente da 22 anni (anche se come abbiamo visto si sposta moltissimo per lavoro) ed è diventato calciatore vero con addosso la maglia del Piace: prima dal 1985 al 1992, poi dal 1998 per altre due stagioni, le uniche in Serie A, di ritorno dal Bari.
Tanta fisicità ed esplosività prima da mediano e poi da esterno, pochi gol ma buoni, dalla Primavera di Natalino Gottardo al Piace di Titta Rota, due promozioni in Serie B, la Serie A con Beppe Materazzi, il ricongiungimento con Gigi Cagni alla Samp.
Ultima stagione a Treviso, 2003, l’anno dopo è team manager del Savona, poi torna a Treviso da osservatore e in questo si specializza: 15 anni all’Inter, settore giovanile, 8 come osservatore, gli altri come responsabile di tutto lo scouting, ruolo che ora ricopre da quasi un anno all’Atalanta: stessi colori, due eccellenze. Oggi ha 56 anni.
Gian Paolo Manighetti ha consesso a Libertà una delle sue rare interviste. Rare non perché “se la tiri”, ma perché ha sempre preferito il profilo basso, quella concretezza che gli viene dalla razza bergamasca.
E poi, lui è uno di noi: vive a Piacenza consecutivamente da 22 anni (anche se come abbiamo visto si sposta moltissimo per lavoro) ed è diventato calciatore vero con addosso la maglia del Piace: prima dal 1985 al 1992, poi dal 1998 per altre due stagioni, le uniche in Serie A, di ritorno dal Bari.
Tanta fisicità ed esplosività prima da mediano e poi da esterno, pochi gol ma buoni, dalla Primavera di Natalino Gottardo al Piace di Titta Rota, due promozioni in Serie B, la Serie A con Beppe Materazzi, il ricongiungimento con Gigi Cagni alla Samp.
Ultima stagione a Treviso, 2003, l’anno dopo è team manager del Savona, poi torna a Treviso da osservatore e in questo si specializza: 15 anni all’Inter, settore giovanile, 8 come osservatore, gli altri come responsabile di tutto lo scouting, ruolo che ora ricopre da quasi un anno all’Atalanta: stessi colori, due eccellenze. Oggi ha 56 anni.
Da Milano a Bergamo: perché?
«Ero andato in scadenza di contratto e da un anno Roberto Samaden, il mio vero mentore, era passato come responsabile dall’Inter all’Atalanta. Seguirlo è stato istintivo, è il mio punto di riferimento, dopo che avevo iniziato con il grande Pierluigi Casiraghi. Roberto ed io, insieme ad altri ovviamente, abbiamo costruito una struttura di scouting che all’Inter era attiva solo per la prima squadra».
Resta da spiegare la scelta di vivere a Piacenza.
«Una decisione naturale, immediata: non me la sentivo di tornare a vivere nel mio paesino, che è comunque vicino. Là vivono mia madre, mia sorella e i miei nipoti e li posso raggiungere rapidamente. Qui mi sono trovato bene fin da quando ero ragazzino, Piacenza ha la dimensione giusta, le cose e la gente che mi piacciono. Certo, se penso al calcio, mi si chiude lo stomaco, ma le fortune di una società siano legate ai grandi imprenditori come è stato Leonardo Garilli: non è facile trovarne oggi. La stessa Cremonese, dipende in tutto da Arvedi, se molla lui...E poi, guardati intorno: la maggior parte della società di Serie A è in mano a fondi di investimento. Il calcio ha raggiunto costi toppo alti».
