Anche gli eroi del videogiochi vanno in vacanza?
Diversi giochi di ruolo invitano a passeggiare, andare per funghi, cucinare. Tra questi, esemplare è The Legend of Zelda: Breath of the Wild
Francesco Toniolo
17 giugno 2025|8 giorni fa

Tra le poesie “estive” della tradizione italiana ci sono quelle che compongono la celebre raccolta Alcyone di Gabriele D’Annunzio, che coprono la parabola di un’intera estate, da giugno agli inizi di settembre. Alcyone racconta la “vacanza” del superuomo dannunziano, ma possiamo intendere questo termine nei suoi due significati, andando a giocare intorno a questa ambivalenza. Nel senso più comune del termine, la vacanza porta con sé l’idea del riposo dal lavoro e dallo studio, ed effettivamente l’opera racconta della pausa estiva di D’Annunzio. Ma la vacanza è anche l’assenza, e in effetti il superuomo dannunziano sembra fare un passo indietro, davanti alla natura che diventa l’effettiva protagonista dell’opera. L’estate di Alcyone è una stagione sospesa, lontana dalle imprese epiche e dagli eroismi, per andare invece ad abbandonarsi in quella fusione panica con il mondo naturale e con il tempo del mito.

Spostandoci nella contemporaneità, è possibile trovare diversi videogiochi che ben esprimono questa duplicità della vacanza. Penso soprattutto a molti di quei giochi di ruolo con una struttura “open world”, in cui è possibile muoversi con grande libertà nel mondo che ci circonda. In generale, l’eroe (o eroina) di turno deve portare a termine una missione di enorme importanza, che solitamente riguarda il destino del mondo intero, ma siamo noi a dettare i tempi del suo agire. Anche quando la narrazione ci trasmette un forte senso di urgenza, il gioco ci invita in vario modo a “perdere tempo” portando avanti un gran numero di attività secondarie, tutto sommato inutili rispetto alla salvezza del mondo. Possiamo andare a pesca, raccogliere funghi, cucinare o anche solo passeggiare senza una meta specifica. Proprio come si farebbe in una vacanza. Per fare giusto un esempio concreto, porto il caso del sempre ottimo The Legend of Zelda: Breath of the Wild di Nintendo. L’eroe, Link, deve raggiungere il castello del regno di Hyrule, dove la principessa Zelda sta contenendo la Calamità Ganon, una forza oscura che minaccia di distruggere tutto. Il senso di urgenza è palpabile, eppure moltissimi giocatori iniziano a far “perdere tempo” a Link, come se l’eroe si trovasse in un lunghissimo periodo di vacanza. Ci sono talmente tante attività da fare che magari qualcuno finisce persino per dimenticarsi della povera principessa Zelda.

Allo stesso modo, anche un videogioco come Death Stranding può essere vissuto come una vacanza. Qui si gioca nei panni di Sam Porter Bridges, un fattorino che deve riconnettere diverse aree degli Stati Uniti in un mondo postapocalittico. L’esperienza esplorativa di Death Stranding è spesso simile a una lunga gita in montagna e anche in questo caso è possibile ritrovarsi a perdere tempo in tantissimi modi. Rispetto a The Legend of Zelda – in cui Link è il classico eroe guerriero con la spada magica – in Death Stranding emerge anche quell’ambivalenza della vacanza, intesa come assenza. Il protagonista di questo videogioco è infatti lontano dai tradizionali modelli di eroe.

Facendo ancora un altro step possiamo citare videogiochi molto più leggeri, come il famoso Animal Crossing, in cui si gioca nei panni dell’abitante di un allegro villaggio popolato da animali antropomorfi. Qui non c’è nessun “eroe” e si vive in una dimensione di vacanza perpetua, in cui si passa il tempo a coltivare piante, catturare insetti e arredare la propria casa.
LA LEZIONE DEL PAESE DEI BALOCCHI: IL GIOCO DEVE AVERE IL SUO TEMPO
La vacanza esiste solo se esiste anche il lavoro (o lo studio). Il gioco esiste solo se c’è anche un momento in cui non si gioca. Se ogni singolo momento fosse fatto di vacanze (o di giochi) si perderebbe il senso stesso del concetto. Questa è una grande lezione che possiamo prendere da Pinocchio, il famosissimo libro di Collodi, e ci aiuta a capire anche il rapporto con i videogiochi.
Probabilmente tutti conoscono il Paese dei Balocchi di Pinocchio, in cui finisce il burattino insieme all’amico Lucignolo. Qual è il problema del Paese dei Balocchi? Perché Pinocchio viene trasformato in un somaro? Una risposta veloce e superficiale potrebbe essere dire che Collodi era contrario al gioco e allo svago, ma non è questo il problema. C’è una distinzione sottile ma fondamentale: nel Paese dei Balocchi si gioca sempre ed è sempre vacanza. Come leggiamo nel libro: «Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll’ultimo di dicembre». Il problema allora non è il gioco (o la vacanza) in sé, ma il fatto che assume una dimensione totalizzante. Non c’è spazio per nient’altro. Per cui Pinocchio non viene trasformato perché gioca (o perché è in vacanza, o perché si sta svagando),
C’è un tempo e un luogo per ogni cosa e questo, ovviamente, vale anche per i videogiochi. Se una persona giocasse tutto il giorno, finirebbe per annullare il senso stesso dell’esperienza ludica. E ciò non significa che il videogioco debba essere esclusivamente legato all’intrattenimento. Chi è del settore lo sa molto bene, ma all’esterno è ancora forte l’idea che i contenuti videoludici debbano solo divertire o intrattenere. In realtà – al pari del cinema o della letteratura – offrono un’ampia gamma di esperienze. Il punto della questione, allora, non è tanto legato alla contrapposizione tra un contesto “serio” e impegnato (quello della scuola, dello studio) e uno dominato dalla leggerezza e dallo svago. Il fatto è che, quando giochiamo (non solo ai videogiochi), ci poniamo all’interno di un cerchio magico in cui valgono delle regole diverse da quelle della nostra quotidianità. Per fare un esempio immediato e comprensibile a tutti, se non è in corso una partita di calcio puoi tranquillamente raccogliere un pallone con le mani, in qualsiasi momento, mentre se stai giocando a calcio questo va contro le regole.
Probabilmente tutti conoscono il Paese dei Balocchi di Pinocchio, in cui finisce il burattino insieme all’amico Lucignolo. Qual è il problema del Paese dei Balocchi? Perché Pinocchio viene trasformato in un somaro? Una risposta veloce e superficiale potrebbe essere dire che Collodi era contrario al gioco e allo svago, ma non è questo il problema. C’è una distinzione sottile ma fondamentale: nel Paese dei Balocchi si gioca sempre ed è sempre vacanza. Come leggiamo nel libro: «Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll’ultimo di dicembre». Il problema allora non è il gioco (o la vacanza) in sé, ma il fatto che assume una dimensione totalizzante. Non c’è spazio per nient’altro. Per cui Pinocchio non viene trasformato perché gioca (o perché è in vacanza, o perché si sta svagando),
C’è un tempo e un luogo per ogni cosa e questo, ovviamente, vale anche per i videogiochi. Se una persona giocasse tutto il giorno, finirebbe per annullare il senso stesso dell’esperienza ludica. E ciò non significa che il videogioco debba essere esclusivamente legato all’intrattenimento. Chi è del settore lo sa molto bene, ma all’esterno è ancora forte l’idea che i contenuti videoludici debbano solo divertire o intrattenere. In realtà – al pari del cinema o della letteratura – offrono un’ampia gamma di esperienze. Il punto della questione, allora, non è tanto legato alla contrapposizione tra un contesto “serio” e impegnato (quello della scuola, dello studio) e uno dominato dalla leggerezza e dallo svago. Il fatto è che, quando giochiamo (non solo ai videogiochi), ci poniamo all’interno di un cerchio magico in cui valgono delle regole diverse da quelle della nostra quotidianità. Per fare un esempio immediato e comprensibile a tutti, se non è in corso una partita di calcio puoi tranquillamente raccogliere un pallone con le mani, in qualsiasi momento, mentre se stai giocando a calcio questo va contro le regole.

Tutto questo ci porta verso un’altra domanda: immaginando un contesto come il Paese dei Balocchi in cui finisce Pinocchio, sarebbe ancora possibile parlare di gioco? Forse no. Questo ci porta allora a ripensare anche a tutte le forme di “gamification” che vengono proposte. La gamification si verifica quando cerchiamo di inserire degli elementi ludici in contesti che di base non lo sono, come il lavoro o la scuola. Facciamo allora un esercizio e proviamo a immaginare una società perfettamente gamificata, in cui tutto quanto si è ibridato con il gioco. Probabilmente sarebbe un nuovo Paese dei Balocchi, anche più insidioso di quello descritto da Collodi, perché almeno in quel caso la contrapposizione con il tempo della scuola e dello studio è ben evidente. Ma nella società della gamification totale non saremmo più in grado di cogliere la differenza. Lo stesso discorso si può fare con le vacanze. Il tempo del lavoro (e dello studio) può essere troppo esteso, mal distribuito o poco retribuito, ma cosa succederebbe se venisse totalmente rimosso, in favore di una vacanza continua? Verrebbe meno il senso stesso della vacanza e – a meno di immaginare una sorta di effettiva utopia paradisiaca in cui cambiano anche i desideri umani – finirebbe per generare quel senso di insoddisfazione caratteristico di tutte le esperienze dell’eccesso, dai tempi antichi del tanto sognato paese di Cuccagna.
Vorrei infine sottolineare la natura sostanzialmente carceraria del Paese dei Balocchi, osservata da autori come Giorgio Manganelli. Siamo davanti a una gabbia, per quanto dorata, a un sistema chiuso e ben sorvegliato. E anche la gamification può essere utilizzata come strumento di controllo: con la scusa di darti delle ricompense e dei premi, posso monitorare ancor più la tua performance o farti fare del lavoro gratuito, senza che tu nemmeno te ne renda conto perché sei totalmente immerso nel gioco, senza avere più un non-gioco come pietra di paragone.
Vorrei infine sottolineare la natura sostanzialmente carceraria del Paese dei Balocchi, osservata da autori come Giorgio Manganelli. Siamo davanti a una gabbia, per quanto dorata, a un sistema chiuso e ben sorvegliato. E anche la gamification può essere utilizzata come strumento di controllo: con la scusa di darti delle ricompense e dei premi, posso monitorare ancor più la tua performance o farti fare del lavoro gratuito, senza che tu nemmeno te ne renda conto perché sei totalmente immerso nel gioco, senza avere più un non-gioco come pietra di paragone.