«Mio figlio messo da parte, ma solo dopo che la quota annuale era stata pagata»
Una mamma di due giovani calciatori (maschio e femmina) racconta le esperienze decisamente opposte vissute in questi anni

Michele Rancati
20 maggio 2025|36 giorni fa

Continua il viaggio di Libertà nel mondo del calcio giovanile piacentino.
Una mamma, Antonia, ci ha scritto per raccontare la doppia esperienza vissuta con i due figli (un maschio e una femmina) in altrettante società. Una molto positiva, l'altra decisamente negativa.
Chi volesse aggiungere il proprio contributo al dibattito può scriverci agli indirizzi email: [email protected]; [email protected].
Una mamma, Antonia, ci ha scritto per raccontare la doppia esperienza vissuta con i due figli (un maschio e una femmina) in altrettante società. Una molto positiva, l'altra decisamente negativa.
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Ciao Michele, raccolgo volentieri il tuo spunto di riflessione essendo, le tue, domande che da sempre mi pongo anch’io e avendo due figli, un maschio e una femmina, che giocano o hanno giocato a calcio in società diverse. Il maschio ha manifestato il suo interesse per questo sport un po’ tardivamente rispetto ai suoi coetanei, forse anche perché noi genitori abbiamo cercato di indirizzarlo da sempre a sport chiamiamoli minori, ma solo come partecipazione, non sicuramente come dignità.
Aveva circa 10 anni. Il suo aggiungersi a squadre in cui i compagni giocavano da 3 o 4 anni, unito a un piede oggettivamente mediocre lo ha portato ad essere quasi sempre un panchinaro, nella migliore delle ipotesi. Ma lui, fino ad un certo punto, si è divertito, anche solo a fare le partitelle di allenamento e a guardare e tifare i suoi compagni in quelle di campionato. Parliamo di squadre non blasonate, se blasonate si può dire nel limite dei campionati provinciali, ma tant’è; le uniche che potessero accettare un absolute beginner undicenne a cui natura non ha dato.
Dicevo: fino ad un certo punto. E più precisamente fino a quando sono state divise le squadre anche per fare gli allenamenti, non solo le partite di tabellone. Questo mi è sembrato un chiaro atteggiamento, che nell’ambito lavorativo si chiamerebbe mobbing, per disincentivare la partecipazione dei più brocchi tra i brocchi, in una squadra troppo numerosa.
Ma non subito, verso metà campionato, quando le quote partecipative erano già state pagate.
Pecunia non olet, i giocatori scarsi invece sì.
Tralascio gli epiteti che sono usciti dalle bocche degli allenatori e, peggiori ancora, dai genitori sugli spalti, perché parlando di preadolescenti non fanno parte del mio vocabolario e, a ben guardare, neanche per gli adulti. Coach che pensavano, forse, di allenare una nazionale e genitori che credevano di crescere il futuro pallone d’oro. Molto mi sarebbe piaciuto far notare che se un ragazzino di undici anni milita ancora in una squadra da fondo classifica a Piacenza, forse proprio un fenomeno non è.
Completamente diversa la situazione di mia figlia che gioca in una squadra mista in provincia e, se possibile, di questa vorrei fare il nome: si tratta del San Polo Calcio. Direzione, amministrazione, team di allenatori e genitori sono tutti dello stesso avviso: si gioca per divertirsi, imparare il rispetto, le regole e per fare squadra dentro e fuori dal campo. Si vince e si perde tutti, quello che conta è aver fatto del proprio meglio. Dico società e genitori perché entrambi sono artefici del comportamento finale: una società che punta essenzialmente a fare giocare tutti a dispetto del risultato non può accettare genitori con mire da classifica e, viceversa, genitori moderati e oggettivi non possono sottostare ad atteggiamenti umilianti e che nulla hanno a che vedere con un ambiente sano nell’ambiente giovanile.
Per concludere, quindi, penso, che non siano da incriminare gli uni o gli altri, ma gli uni E gli altri, perché, come in tutti gli altri aspetti della vita, ci si sceglie, si cerca qualcuno che ci somigli, in cui riconoscersi e io con mia figlia l’ho trovato. Resta sempre poco piacevole essere spettatore in tribuna perché si ascoltano parole che fanno rabbrividire, oppure notare che le stesse squadre che in campionato schierano dei giocatori, nei tornei ne portano altri che sembrano grandi il doppio, neanche ci fosse la coppa con le orecchie in palio; ma ho risolto che il problema non è e non deve essere il mio, né di mia figlia che a volte vince, più spesso perde, ma quando esce dal campo ha i capelli sudati, la faccia rossa e gli occhi che brillano".
Antonia
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